Più di un mese è trascorso dalla mia avventura a Toronto, un mese che si è rivelato preziosissimo per metabolizzare l’esperienza e applicarla nella realtà quotidiana. Senza incappare nel trito e ritrito “Tu vuò fà l’americano”.
Senz’altro si è trattata di un’esperienza unica, di contro la sensazione che mi ha lasciato è di spaesamento se penso alla realtà italiana e al nostro modo di fare business, di fare impresa.
Ecco alcune considerazioni in pillole:
- Nei prossimi anni sicuramente il mondo subirà una violenta accelerazione di tecnologia, ma soprattutto di modello di business: l’ITC sta fortemente virando su un modello di fruibilità “as a service” cioè come servizio, come lo è stato per i telefonini che sono diventati smartphone veramente multiuso;
- L’innovazione portata dal Cloud è equiparabile a quella dell’introduzione di Internet, ma inesorabile l’HW ormai è orientato ai distributori di servizi, non più alle nostre aziende né ai nostri clienti. Ce ne dobbiamo fare una ragione, altrimenti il rischio è quello di morire, perdere tempo e perdere il treno;
- Pensiamo alle soluzioni come servizio, ai servizi come soluzioni e non al miglior prodotto al minor prezzo. Questa è una battaglia ormai persa in partenza, non porta da nessuna parte se non a combattere con progetti di basso valore economico, con grande perdita di risorse umane e di tempo;
“Sta passando un treno, vogliamo salire”
- È un’occasione unica, che vale per tutti qui e ora: utenti e aziende IT possono usufruire di tecnologia che prima era pensata solo per le grandi imprese che potevano permettersi investimenti di un certo spessore. Pensiamo banalmente alla condivisione di un documento, di qualsiasi formato, e pensiamo a One Note: è fantasticopensare che, mentre sto scrivendo in ufficio o a casa, anche il mio cliente vede, scrive e commenta;
- Grazie al Cloud siamo indipendenti dallo strumento hardware, sempre;
“Fare rete, integrare le competenze
la mente è come un paracadute. Funziona solo se si apre”
(Albert Einstein)
- Fare impresa vuol dire aprirsi, aprire le nostre imprese ad altre e collaborare, fare rete con le competenze, non certo per condividere i costi. Un esempio in cui ciascuno di noi può facilmente riconoscersi: se non riesco a concludere un progetto (perché mi mancano risorse, competenze, tecnologie) posso cercare un collega o un competitor che sappia fare meglio di me quella determinata cosa, senza paura di perdere il cliente o di svelare a tutti il mio modello di business. Un modello utopico? Forse, ma sempre più necessario e urgente;
- Parliamo, come non mai in questo periodo, di integrazione sociale. A Toronto vivono forse circa 80 etnie diverse provenienti da tutto il mondo, un vero record, e non sono nascoste ma ben visibili i a tutti i livelli, nei bar, nelle pizzerie, nelle aziende, nei porti, nelle farm in campagna. Il rispetto è massimo, qualsiasi mansione ciascuno ricopra: che differenza con il nostro entroterra italiano, dove amo pedalare in bicicletta e dove sempre più spesso mi capita di vedere giovani emigrati arrivati chissà da dove, chini sotto il solleone a raccogliere i pomodori per uno stipendio da fame. Sono problemi per cui possiamo fare poco, ma cambiando modo di fare business, senza avere timore di un collega o di un competitor, possiamo dare una svolta a questa mentalità così distruttiva;
- Tutto questo Microsoft l’ha capito, a Toronto era ben visibile. Microsoft sa mettere in contatto colleghi e concorrenti, per un’unica visione e un saper fare business assieme; condividendo il tuo Business Plan ti coinvolge, ti segue finché arrivi sì allo stesso fatturato, ma in maniera diversa, con un punto di vista totalmente nuovo;
- Sarà forse un caso che Microsoft collabori con SAP, Facebook, IBM, Lenovo e notizia di pochi giorni fa anche con Citrix? Cerro che no: invece che mettersi a sviluppare in casa tecnologie che non sono nel suo DNA, ha capito che è meglio collaborare che stare sul piedistallo e stare a vedere come si muove il mercato;
Le mie conclusioni: è difficile ma non impossibile
Tutto questo, me ne rendo conto, complica la nostra vita lavorativa già difficile e la nostra storia aziendale, di cui andiamo giustamente orgogliosi.
Ci mette in forte discussione nell’animo, proprio noi che siamo riusciti a realizzarci in un contesto italiano dove le aziende sono tutto fuorché aiutate dalle istituzioni.
Ne so qualcosa: mi alzo al mattino con la voglia di spaccare il mondo con la determinazione che da sempre contraddistingue noi italiani, poi quando vado a letto mi chiedo “chi me lo fa fare?”.
Non so darmi per davvero una risposta, ma so che è giunto comunque il momento di cambiare.
Altrimenti, in futuro non avrò più il lusso e il privilegio di sognare ad occhi aperti e di riflettere al mattino.
Sarà complicato staccarsi da un modello di lavoro consolidato e anche remunerativo, dove i processi, tutto sommato, funzionano e fatturano. Ancor più complicato sarà coinvolgere tutti i miei collaboratori, spiegando loro che dobbiamo cambiare modo di fare quello che facciamo tutti i giorni da sempre, ma questo non mi spaventa nemmeno un po’ perché loro sono fantastici e sanno dare sempre il meglio. Anche, se necessario, mordendosi le labbra per trattenere ciò che talvolta pensano. Affrontiamo i rischi: quando abbiamo perso la voglia di farlo?
Cambiare e rinnovare non è mai semplice,
ma la tecnologia è la leva numero uno per poterlo fare
A volte basta vedere analizzare quello che facciamo e proporlo da un altro punto di lettura, “Data Analitycs” vuol dire analizzare tutti i dati che ho in azienda e quello che sono fuori nel mercato, o quelli che possono creare, posso realizzare un nuove servizio in modalità diversa: l’esempio sotto i nostri occhi e che tutti conoscono è UBER che non ha inventato nulla, ma ha messo a disposizione tramite un nuovo servizio a livello mondiale, quello che da tanti anni si è sempre fatto in maniera sempre uguale.
Oggi UBER vale in borsa più di qualsiasi altra casa automobilistica al mondo, senza aver costruito nulla ma semplicemente mettendo assieme un bisogno quotidiano e la tecnologia per creare una piattaforma anche a chi non ha mai fatto il taxista.
Un’evoluzione che non possiamo fermare, neanche con i sussidi o le lotte di categoria.
E questo vale anche per una piccola realtà come la mia e come quella di tante altre Pmi.
La voglia e l’esigenza di condividere tutto questo mi hanno spinto a scrivere questo post.
Ma ora basta parole: ecco due video da vedere fino all’ultimo secondo. (clicca sopra per vederli, te li consiglio)
Il primo è dei Black Eyed Peas ed è legato a una causa veramente importante, che ci fa riflettere molto su come siamo a volte troppo chiusi nella visione delle nostre cose di tutti giorni. Il secondo è dei Coldplay, ha appena vinto i VMA 2016 ed è un mix di realtà, tecnologia, immagini che mi da tanta carica per guardare solo avanti. E mai indietro
Ps. Tra una riflessione e l’altra ho avuto anche il tempo di scrivere alcuni articoli sul WPC: se ti ho incuriosito, li trovi qui, oppure qui, qui e qui.